La mia intervista al quotidiano Metropolis sul peso dei loghi nel mondo del calcio

Il quotidiano Metropolis ha chiesto la mia opinione sul tema dei loghi delle società sportive. A seguire l’intervista completa rilasciata alla giornalista Cristina Esposito che ci tengo a ringraziare.

Lunedì 22 Febbraio 2021

Calcio, il peso dei loghi tra storia e innovazione.

Il progettista Giuseppe Romano: «Tradizione e futuro devono coesistere. Per i tifosi è un simbolo, per le società uno strumento per ampliare gli incassi»

Prima c’era lo stemma, oggi si parla di logo. L’industria del pallone cambia, in un’eterna lotta tra storia ed innovazione. Così, quando un club sceglie di dare una rinfrescata al pro- prio simbolo, ecco che piovono le critiche: i loghi moderni sono troppo elementari, mini- malisti e lontani dalla storia

e dal senso di appartenenza che dovrebbe essere trasmes- so ai tifosi, coloro che, invece, lottano per salvaguardare la gloriosa storia dei club, loghi compresi. Cambiare è, dunque, una scelta coraggiosa: “Oggi le società sportive scelgono il rebrand per comunicare un cambio di identità ma anche di filosofia” spiega Giuseppe Romano, Motion Designer e Visual Communication Specialist.

Rebrand. E’ una parola di cui si sente parlare sempre più spesso nel mondo del calcio, soprattutto in relazione ai loghi delle squadre. Quali motivazioni si celano dietro la scelta di cambiare?

«Il rebrand viene spesso associato al solo redesign di un Logo, ma non è l’unico aspetto a variare. Un brand può decidere di cambiare il suo volto perchè sente che si sta evolvendo anche in altri aspetti che possono anche essere il modo di rapportarsi con il suo pubblico e o il tono di voce sui social. Oggi le società sportive scelgono il rebrand per comunicare un cambio di identità ma anche di filosofia».

Come trovare il giusto compromesso tra tradizione ed innovazione?

«Le persone identificano i brand a cui sono affezionati con un’immagine, con un ricordo (inconscio piuttosto che conscio) catalogato nella propria memoria.

L’impatto del cambiamento è molto spesso difficile da accettare proprio per questo motivo, e vale in tutti gli aspetti della vita: può valere per il rebrand della nostra squadra del cuore, può valere quando un municipalità decide di cambiare un senso unico di marcia e può valere quando torniamo a casa ed i nostri calzini non sono più nello stesso cassetto di sempre.
 
In molti provano inizialmente resistenza al cambiamento perchè sono attaccati a degli schemi mentali, ma se si riflette sulle scelte che hanno portato a questo cambiamento magari si riesce pian piano a recuperare un po’ di comprensione e cominciare ad accettare.
 
Il giusto compromesso deve essere trovato dall’azienda stessa, optando per un rebrand che ne evidenzi i valori ma che siano anche compatibili con la nuova civiltà e con le scelte di marketing».

Poi ci sono i tifosi che lottano per i loghi storici…

«Il destino dei loghi storici acquistati all’asta da privati o associazioni di tifosi può variare da caso a caso, ma tutti mossi dalla stessa motivazione e dal- lo stesso sentimento: recuperare quello che è stato un simbolo che ha trasmesso emozioni e momenti importanti nella vita di un gruppo persone, che magari vuole preservare una tradizione da tramandare.

Storie bellissime ed appassionanti, ma in un mondo moderno non può esistere solo la tradizione o solo l’innovazione. Entrambi i concetti devono coesistere»

Rispetto ad altre società di Serie A, il logo del Napoli ha mantenuto una certa fedeltà. Quali sono i pro?

«L’intenzione era evidentemente preservarne la storicità. Cosa sensata e giusta.

Il Calcio Napoli è strettamente legato alla città e quindi determinati concetti identitari sono comuni. Ad esempio, la N napoleonica richiamerebbe il periodo napoleonico della città, un periodo breve e non proprio glorioso. Uso il condizionale perché quella N è stata però adottata dal Calcio Napoli per 90 anni e, complice il fatto che nessuno ha memoria visiva della dominazione napoleonica, quella N è diventata il simbolo del Calcio Napoli nell’immaginario collettivo riuscendo a cambiarne il significato».

E i contro?

«Uno dei problemi maggiori è che ha una composizione così semplice da non avere una sua unicità e una sua distinta riconoscibilità. A memoria conosco almeno altri due brand internazionali che hanno lo stesso identico concept.

Questo fattore riduce la riconoscibilità in determinati paesi o settori dove sono già presenti brand con loghi simili. Succede poi che le persone associano le immagini e ne possono confondere i valori».

Hai realizzato un personale progetto di rebranding del logo del Napoli.

«Tre anni fa mi sono divertito a distruggere il vecchio concept (la N con il cerchio) e ripartire da zero. Ho fatto una ricerca e uno studio sui valori dei tifosi, sul come loro percepiscano il Calcio Napoli, quali emozioni provano. Ho voluto costruire una base solida per poter trovare una soluzione quantomeno giusta e coerente con quello che prova un tifoso quando va allo stadio.Ho sviluppato una N nuova ritagliata in uno scudo che rappresenta il concetto di “difesa della città”, che riprende la forma dello scudetto e che richiama anche il logo della città di Napoli.

Tutto il mondo del calcio sta andando in questa direzione: le società sportive stanno diventando sempre più brand e meno squadre di calcio. Si sta optando sempre più per il simbolo (per il tratto grafico che ha un suo significato) piuttosto che per uno stemma o un logo illustrato».

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